orario di lavoro

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Delle Considerazioni finali del Governatore abbiamo scritto venerdì, e aggiungiamo: anche se prescindessimo dalle parole importanti sul lavoro e sul ruolo che “il capitale umano” ha nello sviluppo delle economie, delle società, delle imprese, abbiamo apprezzato una Relazione che ha offerto una narrazione finalmente non banale, innovativa, onesta del quadro italiano ed europeo. Prova ne sia che i “giornaloni” sono stati costretti a titoli e letture parziali se non proprio “fantasiose”, abituati com’erano a trovare nelle Considerazioni gli stessi concetti del mainstream dei “salotti bene”.

Si tratta ora di passare dalle (belle) parole ai fatti. Nelle stesse ore delle Considerazioni finali, infatti, uno dei principali gruppi bancari italiani (Unicredit) annunciava uno storico accordo di riduzione dell’orario di lavoro, a parità di retribuzione.
Ognuno di noi si è sentito dire più volte, nella propria breve o lunga vita lavorativa, che “siamo tutti dipendenti” e che “tutti dobbiamo remare nella stessa direzione”.
A noi del SIBC piacerebbe credere ciecamente nel fatto di essere tutti dipendenti, tutti con uguali diritti e uguali possibilità di farli valere.

Capitano però vari fenomeni gestionali che ci lasciano molto perplessi, da ultimo la frenesia del taglio dei budget e in particolare quello indifferenziato delle prestazioni straordinarie, che ha naturalmente innescato la reazione a catena della gara a essere “più realista del re”, per far la figura della sogliola più abile ad appiattirsi sui diktat dell’Amministrazione.

Ci giungono diverse segnalazioni di Capi Divisione, Capi Ufficio, Capi Servizio, Capi Filiale che, magari per la prospettiva di un livellino economico in più al prossimo anno, avrebbero chiesto ai propri collaboratori di dimezzare lo straordinario da un giorno all’altro, andando ben oltre gli stessi desiderata di chi comanda.
Ha destato scalpore il messaggio urbi et orbi dell’Amministrazione per contenere gli straordinari e i plus orari del personale.

Premessa: gli straordinari e i plus orari (dimezzati rispetto all'era ante-Covid, perché a chi lavora da casa non vengono proprio riconosciuti) sono un onere che grava su chi si trova a dover rimediare, con lavoro eccedente, a organici paurosamente carenti, a un’organizzazione deficitaria, a una cattiva gestione e programmazione del lavoro delle strutture.
Giustamente, non pochi si sono chiesti se non si rischi così, in nome del risparmio a tutti i costi, di penalizzare la Banca d’Italia nello svolgimento dei suoi innumerevoli compiti.
Delle due, l’una. O in Banca non c’è una guida né un indirizzo chiaro, per cui il primo che arriva prende l’iniziativa che gli pare e nessuno si sente in diritto-dovere di fermarlo, anche quando eventualmente la si faccia “fuori dal vaso”.
Oppure la guida c’è, e ha dato un input molto chiaro: “combattere il lavoro da remoto”. Per cui, si spiegano tante cose, compresa questa parossistica ricerca di accontentare il Sovrano come meglio gli riesce, a costo di terremotare il Regolamento del Personale.

Scossa numero uno: epicentro, GEP. La Banca d’Italia ha firmato a dicembre 2021 un accordo che prevedeva la riunione semestrale della Commissione mista che ha il compito di monitorare l’applicazione dell’accordo sul lavoro da remoto.
Per valutare la disposizione dei vertici aziendali all’innovazione, sarebbe sufficiente notare che mentre da noi, a fronte di risultati ammirevoli sul piano dell’efficienza, dell’efficacia, della qualità e degli impatti sociali del lavoro da remoto, si danno indicazioni per ridurne la fruizione media mensile, nel mondo fuori si ragiona in modo sempre più concreto, frequente e diffuso di riduzione dei giorni di lavoro, a parità di stipendio.

Mentre in Spagna partono già incentivi pubblici per le aziende che parteciperanno al progetto “quattro giorni a settimana”, in tutto il mondo le sperimentazioni proseguono con notevole successo, sia sul lato imprese (aumentata efficienza e produttività, come peraltro avvenne lo scorso secolo quando si passò da 6 a 5 giorni lavorativi), sia sul lato lavoratori (minori rischi di burnout, maggiore soddisfazione per il lavoro).
Una delle conseguenze peggiori del modo in cui si negozia in Banca d’Italia è che qualunque progetto di riforma che incida nel profondo rischia di essere considerato velleitario, utopistico, un pour parler, insomma.

Con l’eccezione del modello ibrido - che senza la pandemia non sarebbe mai stato nemmeno considerato - basti guardare al negoziato sulla riforma delle carriere: un tema così complesso, affrontato a cadenza bimestrale, o mensile (quando proprio “si accelera”) diventa più un simposio sul sesso degli angeli che un reale confronto su retribuzioni (sì, retribuzioni!! Ne riusciremo a parlare il 28, o l’agenda della Delegazione aziendale e quella Cisl sono la stessa?), e su come riconoscere e valorizzare esperienze, professionalità, competenze dei colleghi che oggi sono in Banca.
Sul modello di lavoro ibrido, l’ultima cosa che I colleghi devono fare è assuefarsi al silenzio coordinato dell’Amministrazione e di parecchie organizzazioni sindacali, ancorché firmatarie dell’accordo di dicembre 2021.
Il manovratore, anzi, i manovratori vanno disturbati. Non perché ci diverta disturbare, ma perché i diritti vanno tutelati, gli accordi vanno rispettati, gli impegni vanno onorati. Sempre.
Mancano 40 giorni alla scadenza del primo anno di vigenza del nuovo modello ibrido, entrato a regime il 1° aprile dello scorso anno. L’accordo prevedeva cosucce interessanti: sono state fatte?
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