8 Marzo, grandi novità in un percorso ancora lungo
Pubblicato in pari opportunità, diritti delle donne · Mercoledì 08 Mar 2023
Tags: donne, pari, opportunità
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In Italia, la Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre quest'anno in un contesto del tutto nuovo rispetto a quello che appariva immodificabile, nell’incontrastato predominio maschile nella società italiana.
Dallo scorso mese di ottobre, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, il Governo è presieduto da una donna. E oggi, al vertice dei due principali partiti politici, ci sono due donne.
Novità assolute che non significano
la fine di decenni di discriminazioni e diritti diseguali, ma
rappresentano un segnale e un'opportunità di enorme portata.
Sembra così lontano il 10 marzo 1946, quando un decreto luogotenenziale sancì, per la prima volta, il diritto delle donne italiane di votare e, soprattutto, di essere elette.
Diritto che si tradusse nei mesi immediatamente successivi
nell’elezione di alcune sindache, di circa 2 mila consigliere comunali
e, ancor più, di 75 donne all’Assemblea Costituente.
Il voto delle donne risultò determinante per la vittoria della Repubblica al referendum.
Così come fu determinante la partecipazione
delle parlamentari elette alla scrittura della Costituzione
repubblicana. Ad una di esse, l’Onorevole Lina Merlin, in particolare si
deve l’art. 3 della Costituzione che afferma che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Fu proprio la Senatrice a voler richiamare
esplicitamente il genere, cosa che i suoi colleghi uomini invece avevano
omesso. Richiamo fondamentale che successivamente consentì di abolire tutte quelle norme che impedivano l’accesso alle donne a moltissimi lavori e professioni, come ad esempio l’ingresso nella Magistratura, dove pochi giorni fa è stata eletta Margherita Cassano come Presidente della Corte di Cassazione; anche in questo caso, la prima volta di una donna al vertice del potere giudiziario.
Tuttavia, a fronte di questi fatti innegabilmente positivi, siamo consapevoli che la lunga marcia per la piena parità di genere, iniziata in quel lontano 1946, ancora non si è conclusa e richiede un forte impegno di tutti, donne e uomini.
A dircelo, come sempre, sono i numeri, crudi.
Per rimanere nell’ambito della politica e della magistratura, osserviamo che a fronte del 56% di magistrate, il 71% dei posti di capo dell’ufficio giudiziario sono coperti da uomini, mentre in Parlamento, le elezioni di settembre 2022, che hanno portato una donna a capo del Governo, vedono appena 186 donne parlamentari a fronte di 414 uomini, con una presenza in calo al 31% rispetto al 35,3% della precedente tornata elettorale.
Ancora più crudi, e in aperto contrasto con il principio di parità, sono i dati della disoccupazione femminile e il divario retributivo che ancora oggi si registra tra donne e uomini tanto in Europa quanto in Italia.
Secondo un documento della Commissione
Europea, pubblicato a novembre 2022, nell’Unione Europea le donne
continuano a guadagnare meno degli uomini a parità di lavoro svolto, con
un divario retributivo medio di genere pari al 13%. Ciò significa che, per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna percepisce 0,87 €. I progressi sono costanti - con una riduzione del divario del 2,8% in 10 anni - ma ancora troppo lenti.
Venendo all’Italia, un’interessante analisi pubblicata nel 2022 dal consorzio Alma Laurea ha evidenziato che nel 2020 le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati
in Italia, ma arrivati sul mercato del lavoro il quadro muta
completamente e le differenze di genere emergono in tutta la loro
drammaticità. Prendiamo il tasso di occupazione, che è sempre a vantaggio degli uomini:
tra i laureati di primo livello a cinque anni dal titolo è pari
all'86,0% per le donne e al 92,4% per gli uomini; tra quelli di secondo
livello rispettivamente pari a 85,2% e 91,2%. A cinque anni dal titolo, in presenza di figli il divario di genere si amplifica ulteriormente.
Anche in termini retributivi l’indagine
conferma il vantaggio a favore degli uomini. In particolare, a cinque
anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in
più: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651
euro per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438
euro e 1.713 euro.
L’analisi della professione svolta a cinque
anni dalla laurea mostra che sono soprattutto gli uomini a occupare
ruoli di alto livello, ossia di tipo imprenditoriale o dirigenziale
(2,2% tra le donne e 3,9% tra gli uomini) e a elevata specializzazione,
cioè per i quali è richiesta almeno una laurea di secondo livello (61,7%
tra le donne e 63,6% tra gli uomini).
Guardando al nostro Istituto, la situazione, non si discosta positivamente dal resto del Paese. Come abbiamo denunciato più volte in passato.
Dopo anni di lenta ma costante crescita, la presenza delle donne in Banca d’Italia vede un’inversione di tendenza.
Nel 2019 infatti le donne erano arrivate ad essere il 37,8%, rispetto
al 35,5% del 2012, ma nel 2020 la crescita si è prima fermata e poi ha
visto un calo, per cui, a fine 2021 le donne sono ferme al 37,7% degli addetti. Ad incidere negativamente continua ad essere il tasso di ingresso delle donne, che nel 2021 è stato pari ad appena il 32,5%
rispetto al 67,5% degli uomini: un dato mortificante, specie se
rapportato alla percentuale delle laureate richiamato in precedenza. In
particolare restano oscuri i motivi per cui la percentuale di successo
delle donne alle selezioni esterne continua ad essere anche
sensibilmente inferiore a quello degli uomini, soprattutto se
confrontato con i risultati emersi dalla citata indagine di Alma Laurea,
che vede le donne ottenere risultati migliori durante il percorso
universitario.
Una volta assunte, le donne anche in Banca d’Italia si troveranno ad affrontare il tema del divario retributivo.
Purtroppo l’ultimo dato disponibile al riguardo risale al 2011 (!) e fu
rilevato dalla Commissione Pari Opportunità. L’indagine condotta dalla
CPO fece emergere che il divario retributivo o gender pay gap è un fenomeno presente anche nel nostro Istituto. Nella Relazione del 2012 si evidenzia un divario che oscilla dal 6,4% all’11% a seconda del campione esaminato.
L’indagine andrebbe ripetuta,
soprattutto per l’Area manageriale dato che la struttura della
retribuzione si è profondamente modificata con la riforma del 2016, eliminando le garanzie degli scatti annuali e aumentando in modo significativo la componente discrezionale dello
stipendio. Auspichiamo quindi che la Commissione inserisca nella sua
agenda dei lavori una nuova analisi sul divario retributivo di genere.
Una spinta a verificare e pubblicare informazioni sull’eventuale divario retributivo viene anche dalla Commissione Europea, che nel 2022 ha proposto una Direttiva sulla trasparenza retributiva per combattere il gender pay gap.
Tra i punti previsti dalla nuova disciplina, c'è l’obbligo per il
datore di lavoro di fornire informazioni sull’eventuale divario
retributivo sia ai singoli lavoratori che ai sindacati.
In una Istituzione sana e trasparente non ci sarebbe bisogno di aspettare l’emanazione della Direttiva.