A carico di SuperMamma

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A carico di SuperMamma

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Pubblicato in parità_di_genere · Venerdì 08 Mar 2024
A carico di SuperMamma

Riceviamo e (molto) volentieri pubblichiamo.

Caro Sindacato,
in un mondo dove la parità di genere - e  con essa tante altre parità - dovrebbe essere la norma, mi trovo  costretta a scriverti una lettera che, purtroppo, sembra concepita in un  tempo remoto. Eppure siamo nel 2024, e storie come quella della mia collega, che chiameremo "Supermamma" per rispettare la sua privacy (e per aggiungere un pizzico di ironia a questa narrazione già di per sé assurda), continuano a essere all'ordine del giorno.

Supermamma, dopo aver dimostrato le sue indubbie capacità professionali vincendo un concorso interno, ha dovuto accettare una sfida ancora più ardua: trasferirsi in un’altra città. Ah, dimenticavo un piccolo, insignificante dettaglio: Supermamma è incinta.  Ma probabilmente, in questo nostro mondo "avanzato", e nella nostra  azienda così attenta all’inclusione e alla valorizzazione delle  differenze, la gravidanza è vista ancora come un ostacolo, una  “differenza” scomoda, una parentesi che disturba il corso normale degli  eventi aziendali e che - va da sé - è tutta a carico di chi decide di  affrontarla.

Mentre ci avviciniamo all'8 marzo, data in cui teoricamente celebriamo i progressi fatti verso la parità di genere, mi chiedo: come tuteliamo noi la famiglia e  il ruolo di cura? Tra tante tutele che giustamente vengono assicurate,  anche in relazione alla necessità di lavorare vicino casa, sembra che  ancora oggi dimentichiamo una categoria particolare: le donne incinte e le madri.
Eppure il lavoro di cura andrebbe tutelato sempre. Le “eroine del quotidiano” che, oltre a svolgere un ruolo così importante per la società, devono lottare per mantenere un lavoro, una carriera, devono scegliere: scegliere se crescere professionalmente perché se lo sono meritato, o abbandonare, per lasciare il loro posto ad altri. Scegliere di lasciare dei figli piccoli a casa, con tutto ciò che questo vuol dire, o restare nella propria città, senza ambire a una carriera, o a guadagnare di più.
Non è forse ironico che proprio in questo luogo di lavoro, che si dice così attento alla parità e all’inclusione, non siamo ancora riusciti a garantire alle donne il diritto di non dover scegliere tra essere madri e avere una carriera?  O che si penalizzi chi, pur lavorando in GSP, osa fare figli (e nemmeno  in quel caso le si permette di lavorare da remoto come migliaia di  altri colleghi)? Che le Supermamma di tutto il mondo debbano ancora  affrontare queste "avventure" non per scelta, ma per necessità?

Chiedo a voi, cari rappresentanti del mio Sindacato, di portare avanti questa battaglia. Non per Supermamma, che ormai ha già accettato il suo destino di eroina, ma per tutte le donne che verranno dopo di lei. Perché  nessuna donna debba più sentirsi penalizzata se sceglie (o per aver  scelto) di diventare madre. Perché la maternità non sia più vista come  un ostacolo, ma come ciò che realmente è: un valore aggiunto per la  società.
In  attesa di un mondo in cui le storie come quella di Supermamma saranno  solo un lontano ricordo, vi saluto sicura che saprete far sentire la  nostra voce, anche con sarcasmo (perchè a volte è l'unico modo per  affrontare l'assurdità).

Una iscritta, una collega, una donna e una mamma: tutto insieme, in una persona.


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