Alte strategie di comunicazione: vetrine e omissioni

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Alte strategie di comunicazione: vetrine e omissioni

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Pubblicato in relazioni sindacali · Lunedì 06 Mar 2023
Tags: relazionisindacali
Esistono due modi di concepire la comunicazione. Il primo è farne una leva di condivisione tra colleghi, uno stimolo per l’interazione, garanzia di trasparenza e presupposto per proficue innovazioni.
Il secondo è intenderla come vetrina per il Direttorio, una voce calata dall’alto, l’esibizione di un modello unidirezionale che non disdegna la delegittimazione delle opinioni difformi.
Il primo  è  una  grande  opportunità  di  sviluppo  per tutti. Il secondo è una grande occasione persa.
Per capire quale sia il modello comunicativo prevalente in Banca, basta analizzarne il lato esterno (il sito internet della Banca), e quello interno (la intranet e la newsletter del venerdì del Servizio Comunicazione), che potrebbero essere l’uno una fonte immediata di informazioni utili per i cittadini, l’altro uno strumento nuovo ed efficace di parlare alle persone, creare coesione e condivisione.
Assistiamo invece a devote vetrine di infinite conferenze e discorsi, in una narcisistica autocelebrazione che in nulla avvicina l’obiettivo - se esiste - di fare del personale e dell’Istituto una comunità coesa e forte, che sappia incidere positivamente nella realtà, a vantaggio della collettività.
Assistiamo anche ad altri generi “innovativi” di comunicazione.
Quella anonima, ad esempio, con la quale chi guida la Banca diffonde via intranet delle squallide veline di attacco ai sindacati interni, o promuove le proprie proposte negoziali che non trovano sufficienti servette nel confronto sindacale.
Poi c’è la comunicazione omissiva, ossia la “non comunicazione” su temi dovuti e di massimo interesse del personale: citiamo, per tutte, la questione sentitissima delle fasce di lavoro da remoto, che vanno ridefinite (a norma di Regolamento) entro un anno dall’entrata in vigore del nuovo sistema (quindi entro il 1° aprile) ma nessuno parla, coprendo di omissis pure le risposte dei Capi al questionario loro dedicato due mesi fa.
Intanto sono spariti anche i sondaggi sul clima aziendale, evidentemente perché si conosce già la risposta prevalente. E se ne ha paura.
Eppure, in questi anni, varie edizioni di concorsi interni (e ora anche esterni) hanno cercato di selezionare i colleghi più esperti nella comunicazione, nella gestione del personale e nelle teorie organizzative; la Funzione del Personale ha investito sulla creazione di strutture nuove, asseritamente aperte al dialogo e all’ascolto, che avrebbero dovuto valorizzare i talenti presenti in  Banca.
Ma la via dell’inferno, si sa, è lastricata delle migliori intenzioni.
Che senso ha attrarre esperti in comunicazione, che senso ha presentare i colleghi, nel nuovo piano strategico dell’Istituto, come  “ambasciatori della Banca”, dichiarare nel piano di voler “favorire una cultura aziendale sempre più pronta all’ascolto”, che senso ha dire che “la Banca usa un linguaggio inclusivo” se la reale politica gestionale è orientata alla chiusura, se la prima immagine che percepisce un neoassunto è lo steccato tra due Aree del personale non comunicanti, e se quello che si insegna agli “ambasciatori”, come a dei bambini stupidi, è l’obbligo della fiducia cieca, di non porre domande e non parlare della Banca con nessuno?
Non sarà mica che raccontare panzane fa parte del piano strategico?


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